La PET del cervello degli obesi rivela importanti differenze
ROBERTO COLONNA & DIANE RICHMOND
NOTE
E NOTIZIE - Anno XV – 10 febbraio 2018.
Testi pubblicati sul sito
www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind
& Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a
fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta
settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in
corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di
studio dei soci componenti lo staff
dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Il fenomeno patomorfologico dell’obesità ha numerose cause che, se si
escludono le forme secondarie a patologie direttamente o indirettamente responsabili
di condizioni funzionali di squilibrio che portano all’accumulo lipidico, nella
massima parte dei casi sono riconducibili a fattori genetici. Poiché la leva
della correzione dietetica associata ad esercizio motorio costante riesce ad
ottenere buoni risultati in una percentuale notevole di persone obese che
abbiano la disciplina di seguire questo stile di vita, si tende spesso a
sottovalutare il ruolo che possono avere, in coloro che sono affetti da eccesso
ponderale, processi cerebrali diversi da quelli della media dei non affetti.
Da decenni la consulenza
psicologica e psichiatrica nel trattamento della persona in sovrappeso
patologico tende nella maggior parte dei casi a due fini principali: 1)
conoscere e valutare l’esistenza di processi mentali e sintomi di disturbi
psichici che contribuiscono a generare condizioni favorenti l’accumulo adiposo;
2) conoscere e valutare in termini cognitivi i contenuti di coscienza correlati
all’obesità, così da correggere convinzioni erronee, analizzare e risolvere
eventuali razionalizzazioni protettive dei comportamenti non salutari, e
supportare la volontà necessaria al cambiamento comportamentale ed alimentare.
In passato, quando molte
scuole di pensiero psicologico tendevano a riportare quasi tutta la patologia
del comportamento alimentare a conflitti intrapsichici e relazionali, si
trascurava spesso un elemento che oggi è di notevole attualità
neuroscientifica, ossia che lo stato funzionale del cervello delle persone
bulimiche, o anche semplicemente iperfagiche, è
diverso e condiziona fortemente il comportamento[1].
Saltare un pasto, o anche solo smettere di mangiare prima di sentirsi sazi,
richiede in quello stato uno sforzo di volontà di gran lunga superiore a quello
ordinariamente richiesto a chi non abbia questa modificazione neurofunzionale.
I progressi nella conoscenza
delle basi cerebrali dell’alimentazione e dell’equilibrio energetico dovrebbero
portare ad un’attenzione medica, sicuramente globale nell’approccio alla
persona, ma molto più analiticamente e consapevolmente rivolta ai vari aspetti
che rendono diverso, in chi tende ad alimentarsi in eccesso, il cervello, prima
ancora della sua psicologia. Istruttiva senz’altro è, in proposito, la lettura
di un nostro articolo che include la recensione di un lavoro pubblicato qualche
anno fa sul Journal of Neuroscience, che dimostra la maggiore sensibilità alla
“ricompensa” in cibo e denaro del cervello di giovani con predisposizione
familiare all’obesità (Note e Notizie 26-03-11 Il cervello dei futuri obesi è più sensibile a cibo
e denaro).
La differenza funzionale del
cervello degli obesi, non ancora bene definita e da tutti accettata, è
intensamente studiata con metodiche di neuroimmagine. Kyoungjune
Pak e colleghi hanno proposto una rassegna degli studi recenti del cervello di
volontari con un eccesso ponderale corrispondente alla diagnosi di obesità,
realizzati mediante tomografia ad
emissione di positroni (PET) con radiofarmaci selettivi.
(Pak K., et al., Obesity and Brain Positron Emission Tomography. Nuclear Medicine and Molecular Imaging 52
(1): 16-23, Feb., 2018).
La provenienza
degli autori è la seguente: Department of Nuclear Medicine and Biomedical
Research Institute, Pusan National University Hospital, Busan (Corea del Sud); Department of
Nuclear Medicine and Research Institute for Convergence of Biomedical Science
and Technology, Pusan National University Yangsan
Hospital, Yangsan (Corea
del Sud).
Storicamente, per la genesi
dell’obesità si è ipotizzata un’alterazione del cosiddetto “glucostato
ipotalamico”. In pratica, come si legge in un nostro articolo non recente, un
sotto-insieme di neuroni cerebrali, prevalentemente appartenenti al nucleo arcuato dell’ipotalamo e noti
come “neuroni eccitati dal glucosio” o glucose-sensing neurons, si depolarizzano ed aumentano la loro
frequenza di scarica in risposta all’innalzamento del livello di glucosio
extracellulare. L’eccitazione di questi neuroni è dovuta alla chiusura da parte
dell’ATP di canali del K+ sensibili all’ATP (KATP); il
50% dei neuroni POMC (da pro-oppiomelanocortina) del nucleo arcuato è sensibile al
glucosio, e il ruolo di sensori di queste cellule, così come la loro
alterazione nell’obesità, furono dimostrati da Parton
e colleghi nel 2007[2]. Ma, come è noto, la
condizione di abnorme eccesso ponderale può comportare l’interessamento
fisiopatologico di tutti i principali fattori di regolazione dell’alimentazione
e del bilancio energetico. Per introdurre il lettore non specialista si riportano,
con l’aiuto di precedenti articoli, alcune importanti nozioni, prendendo le
mosse da quanto si è scoperto in genetica grazie all’Allen Mouse Brain Atlas:
“Ma i
contributi più importanti per la fisiologia, l’Allen Mouse Brain Atlas li ha
forniti grazie alla visualizzazione contemporanea dei territori di espressione
di più geni. Un esempio molto significativo riguarda i meccanismi cerebrali del
controllo di fame e sazietà.
Da decenni la neurofisiologia ha
riconosciuto delle sedi specifiche per la regolazione del comportamento
alimentare nell’ipotalamo, indicando nei nuclei ipotalamico laterale e
perifornicale la sede dei processi responsabili del desiderio di cibo e nel
nucleo ventromediale la sede dei processi generatori del senso di sazietà. Col
proseguire degli studi, il quadro degli elementi conosciuti, fra cui le aree
cerebrali interessate, i processi di regolazione della soglia di glucosio
definita nel cervello (glucostato ipotalamico) e gli ormoni che
intervengono nel gioco degli equilibri, è divenuto sempre più complesso, ma la
ricerca ha continuato a focalizzarsi su singoli elementi, implicitamente
supponendo l’esistenza di un comparto di accensione e uno di spegnimento
dell’appetito, sia in termini di territori neurali sia in termini molecolari.
Infatti, molti studi si sono occupati del prodotto di un singolo gene, la grelina, quale
ormone della fame. Allo stesso modo si sono finora studiati i meccanismi della
sete.
Nel 2008, basandosi sull’Allen
Mouse Brain Atlas, Pawel Olszewski
e colleghi hanno accertato l’esistenza di una realtà molto più complessa, che
presto modificherà l’impostazione del capitolo sulla neurofisiologia del
comportamento alimentare dei trattati e dei manuali didattici. E’ risultato
che, nella regolazione della fame e della sazietà, è implicata l’espressione di
42 geni in otto aree diverse del cervello. All’interno dei nuclei definiti “centri della fame”
sono stati reperiti schemi di espressione mista di geni che riducono ed
accrescono l’appetito, pertanto le nozioni ricavate dalla distruzione selettiva
di aree ipotalamiche in gatti, topi ed altri animali, sono da rivedere e, quasi
certamente, l’assegnazione della singola funzione di attivatore o interruttore
del bisogno di cibo da parte di un nucleo è un errore.
Il lavoro di Olszewski,
fra l’altro, spiega l’inefficacia di alcuni farmaci per la terapia dell’obesità
agenti su una singola proteina e rende conto dell’efficacia di regimi di
restrizione dietetica gestiti dalla volontà del soggetto in condizioni
psicologiche favorevoli, che sono in grado di indurre estese modificazioni nei patterns di espressione genica del
cervello e, più in generale, dell’organismo”[3].
Altri due stralci ci aiutano a
considerare le basi della regolazione della funzione alimentare:
“È opportuno ricordare che l’accumulo di energia principalmente sotto forma di trigliceridi depositati negli adipociti, ossia cellule che possono diventare dei veri e propri sacchetti gonfi di grasso, è precisamente regolato in funzione dei bisogni dell’organismo da due sistemi: uno per l’equilibrio di lungo termine ed uno per quello di breve termine. I due sistemi interagiscono per il controllo della nutrizione.
Al sistema di regolazione complessiva di fondo, in un certo senso più statico, danno un contributo fondamentale l’insulina, che porta il glucosio all’interno delle cellule inducendo l’utilizzo o l’accumulo previa trasformazione, e la leptina (dal greco leptos = sottile, magro)[4], un peptide secreto principalmente dagli adipociti che si lega a recettori della super-famiglia delle citochine nel cervello e alla periferia, determinando la riduzione dell’assunzione di cibo, l’aumento della lipolisi, del dispendio energetico e della termogenesi[5]. Nell’ipotalamo, responsabile del controllo cerebrale complessivo di processi e meccanismi metabolici dell’organismo, la leptina e l’insulina circolante si legano ai recettori di due popolazioni di neuroni del nucleo arcuato (neuroni NPY/AGRP che promuovono accumulo, neuroni α-MSH/CART che promuovono l’uso), che reagiscono in modo opposto all’influenza dei due ormoni peptidici e determinano influenze funzionali opposte. Da questi neuroni si dipartono fasci di assoni verso i nuclei dell’ipotalamo che erano stati implicati nella regolazione della fame e della sazietà già quarant’anni or sono. Infine, non è superfluo ricordare che il circuito cerebrale per l’equilibrio energetico, come quello per i fluidi, è ampiamente distribuito e, oltre ai nuclei ipotalamici, comprende importanti componenti situati nella parte caudale del tronco encefalico e nel complesso vagale dorsale.
Al sistema di regolazione di
breve termine, legato a fame e sazietà, danno un contributo importante due
ormoni secreti dall’apparato gastroenterico ed immessi nel torrente
circolatorio: la colecistochinina e la grelina. La colecistochinina
determina la fine del pasto rallentando lo svuotamento dello stomaco e
stimolando impulsi vagali al sistema troncoencefalico
inferiore implicato nel patterning dei pasti. La grelina,
i cui recettori sono stati identificati in varie aree, oltre che nei nuclei
arcuato e paraventricolare dell’ipotalamo e in quelli del complesso vagale
dorsale, è implicata nell’induzione dell’assunzione del cibo e il suo picco di
secrezione si verifica a stomaco vuoto[6]”[7].
“In generale, siamo abituati a pensare alla regolazione della funzione alimentare in rapporto a due ordini di processi, uno più direttamente connesso con il bilancio energetico dell’organismo e la gestione delle sue risorse e riserve, che ha per protagonisti la leptina e l’insulina, e l’altro, relativo alla fame e alla sazietà, legato all’attività della grelina e della colecistochinina. Se però riflettiamo sul quadro completo delle conoscenze attuali in materia, ci rendiamo conto di quanto la funzione e l’alterazione di ciascun sottosistema riguardi anche l’altro e che, dall’omeostasi del glucosio circolante all’attività sinaptica delle varie classi di neuroni che partecipano a queste funzioni, tutte le parti in gioco, molecolari, cellulari e sistemiche, sono interconnesse e, in qualche misura, interdipendenti.
Il progresso della ricerca sta
anche individuando collegamenti nuovi. Un esempio di una relazione funzionale
sconosciuta fino a non molto tempo fa, ci sembra particolarmente eloquente. Uno
studio di Edgar Soria-Gomez e colleghi, da noi recensito
il 22 febbraio di quest’anno[8],
ha individuato un meccanismo molecolare alla base dell’acuirsi della percezione
dell’odore del cibo quando si ha fame, ed ha trovato che l’aumento di risposta
olfattiva al cibo è in rapporto proporzionale con la quantità di cibo assunto”[9].
Lo stato di eccesso ponderale
caratterizzato dallo spostamento del rapporto fisiologico fra massa magra
(muscolare) e massa grassa (adiposa) a favore della seconda, può anche essere
definito come il risultato di un’assunzione di energia attraverso gli alimenti
che cronicamente eccede il consumo. Come è noto, questo squilibrio energetico
può essere indotto dallo stato interno dell’equazione calorica (omeostasi) e da fattori non-omeostatici,
cioè sociali, culturali, psicologici, ambientali o relativi al cibo stesso. Da
alcuni anni si impiega la PET con radiofarmaci per studiare e cercare di
comprendere il controllo cerebrale della funzione alimentare nella nostra
specie, e i principali lavori condotti in questo filone di ricerca sono stati
esaminati da Pak e colleghi.
Impiegando la PET 150-H2, sono
stati rilevati cambiamenti nel flusso
ematico cerebrale regionale (rCBF, da regional cerebral blood flow) associati all’attività neuronica nel
digiuno, nella sazietà dopo assunzione di cibo e nella stimolazione sensoriale.
Nelle persone obese il flusso rCBF faceva registrare
un incremento più marcato nell’insula
(di Reil), attualmente considerata da molti la
corteccia gustativa primaria.
I classici studi con 18-Fluorodeossiglucosio
([18F]-FDG) hanno dimostrato negli obesi un’attività metabolica più elevata nel giro post-centrale della corteccia parietale ed un’attività
metabolica più bassa nella corteccia prefrontale e nella corteccia anteriore del giro del cingolo.
Interessanti anche le osservazioni
condotte con la PET per i recettori della
dopamina (PET-DR). Questa tecnica ha dimostrato una minore disponibilità dei recettori della dopamina nelle persone
obese; un dato che potrebbe giustificare la tendenza iperfagica
degli obesi quale meccanismo di compensazione.
L’insieme degli studi proposti
da Kyoungjune Pak e colleghi fornisce dati
significativi su una differenza funzionale del cervello degli obesi che non può
più essere trascurata; il prosieguo degli studi potrà fornire più precisi
elementi di rapporto fra lo stato patomorfologico e i
quadri di attività cerebrale, se si monitoreranno nel tempo i cambiamenti
legati al regredire dell’eccesso adiposo e si riuscirà a comprendere se e quanto
dei differenti schemi di attivazione funzionale rimane permanentemente come
endofenotipo, e quanto è soggetto a variare col riequilibrio energetico e
metabolico in un differente stile di vita.
Gli autori della nota ringraziano la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza
e invitano alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E
NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Accade anche, con una connotazione opposta, in molti casi di anoressia nervosa (anoressia mentale): l’appetito alimentare non è avvertito; anzi, spesso, lo stato percepito è quello della sazietà anche dopo molte ore di digiuno.
[2] Note e Notizie 00-11-07 Il cervello controlla glucosio e obesità.
[3] Note e Notizie 20-11-10 Cosa dobbiamo agli atlanti di Allen del cervello.
[4] La leptina, così chiamata da Friedman (dal greco leptos = snello, sottile, magro) perché interrompe l’attività dei neuroni ipotalamici della fame contribuendo a rendere snelli, è una molecola appartenente alla famiglia delle citochine ad elica, in grado di influenzare la risposta immune (anche autoimmune) e dotata di proprietà antidepressive (v. Note e Notizie 04-03-06 La leptina come nuovo antidepressivo).
[5] Cfr. G. Perrella, Nuove acquisizioni su molecole regolatrici e meccanismi ipotalamici di controllo delle riserve energetiche in relazione a stati psichici e motivazionali. BM&L-Italia, Firenze 2003.
[6] Cfr. G. Perrella, op. cit.
[7] Note e Notizie 02-02-13 Come la grelina si lega ai neuroni ipotalamici dell’appetito.
[8] Note e Notizie 22-02-14 Come la fame accresce via CB1 la percezione degli odori e il cibo assunto.
[9] Note e Notizie 07-06-14 La segnalazione leptinica negli astrociti regola circuiti ipotalamici e nutrizione.